L’attuale chiesa di San Giuseppe si erge maestosa in Piazza Pola (l’ex Piazza Maggiore) là dove un tempo, prima del terremoto, era edificata una delle due chiese dedicate al Santo.
Ad essa era abbinato un monastero di suore benedettine voluto dal barone di Bussello Don Carlo Giavanti nativo di Noto, ma sposato con la nobildonna ragusana Violante Castilletti la quale, morendo, lasciava la sua cospicua dote al marito con l’obbligo di fondare il monastero nelle case d’abitazione che confinavano con la chiesa.
Pur se sorto attorno al 1590 non se ne fa menzione nella Sacra Visita del 1621 probabilmente perchè dipendente dal monastero, mentre un cenno (che forse si riferisce all’altra) è riportato in quella del 1654. Alcuni studiosi locali negano che ci fossero due chiese di San Giuseppe e formulano l’ipotesi che una chiesetta, esistente sin dal 1543, assumesse rilievo solo dopo che veniva aggregata al convento sorto con il donativo del 1590. Con il terremoto la chiesa ed il convento andarono quasi totalmente distrutti ed il complesso si iniziò la ricostruzione con pianta probabilmente rettangolare sul vecchio sito (ne rimane un labile ricordo in una vecchia planimetria del secolo scorso, prima
ell’abbattimento definitivo). I primi lavori al convento sono già del 1701 e proseguiranno almeno sino al 1705. Altri lavori poi sono documentati per il convento fra il 1723 ed il 1737, ma è nel 1756 che si occupa la limitrofa area della chiesa di San Tommaso oramai spostata altrove.
Tra il 1756 ed il 1760 dovette avvenire il cambio dal progetto barocco a quello rococò. Quei quarant’anni di lavoro produssero una chiesa di San Giuseppe di nuova concezione, paragonabile per caratteri a San Giorgio , ma simile alla vicina chiesa della Madonna del Carmine annessa al monastero di Valverde con cui vanta simili origini (sino a non molti anni addietro attribuita a qualche allievo diretto del Gagliardi, ma oggi sicuramente ascrivibile a frate Alberto Maria di San Giovanni Battista come i più recenti studi indicano).
La facciata convessa, di stile composito, è ripartita in tre ordini e presenta coppie di colonne che si innalzano sino al secondo ordine e delle quali due fiancheggiano l’entrata principale ; le colonne centrali si ripetono al livello superiore dove delimitano un finestrone con grata panciuta; volute decorate raccordano il secondo al terzo livello. La facciata si conclude con un terzo ordine che nasce dal timpano spezzato ad arco ribassato dell’ordine precedente ed è arricchito da volute e decorazioni che delimitano tre cellette campanarie con ringhiere panciute. Notevole e di grande effetto l’impiego di statue sui due livelli inferiori; fra le quattro al primo ordine si riconoscono Santa Gertrude e Santa Scolastica, mentre al secondo ordine accanto alle volute fanno bella mostra San Mauro da un lato e San Benedetto dall’altro. Tre le campane sul campanile. Sulla prima, la più grande, in rilievo un San Giuseppe, datato 1857, e con il nome del fonditore; le altre sono del 1844.
L’interno insolitamente ovale (analogo a quello della vicina chiesa di Santa Maria Valverde , variante di quella geometria ottagonale allungata caratteristica del tardo barocco), è scandito da paraste con capitelli ionici. Pregevoli tribunette in legno con grate permettevano alle suore di assistere alle funzioni religiose.
La luminosità interna è garantita da finestroni posti sopra il cornicione interno dell’aula. Cinque gli altari, di cui uno nell’abside semicircolare, realizzati in pietra e vetro dipinto al recto di grande effetto cromatico tale da sembrare marmo.
La volta è affrescata da Sebastiano Lo Monaco (1793) con i temi della Gloria di San Giuseppe e di San Benedetto.
Colpisce poi il bel disegno della pavimentazione ottenuto con l’alternanza di lastre di pietra asfaltica e calcarea con inserite piastrelle ceramiche policrome a motivi floreali.
Entrando si notano sui lati teche in vetro contenenti, a destra, la statua in cartapesta di San Benedetto ed a sinistra una statua di San Giuseppe con Bambino Gesù circondato da Angeli che lodano il Signore in argento lavorato a sbalzo. Addentrandosi sulla parete destra si notano due quadri uno con Santa Geltrude monaca e l’altro con San Benedetto, entrambi opere del Pollace del 1802. Sul primo altare a sinistra, invece, il quadro a San Mauro abate, sempre del Pollace risalente al 1805, e l’altro a sinistra con una Santissima Trinità di Giuseppe Cristadoro del 1801 (copia analoga a quella realizzata dal Conca per la chiesa palermitana dell’Olivella).
Presso l’altare centrale, affrescata in un ovale, la Sacra Famiglia di Matteo Battaglia del 1779; da alcuni è stata chiamata anche la Madonna delle ciliege dato che la Madre offre a Gesù delle ciliege contenute nel grembiule.
La chiesa è ricca in argenterie e paramenti sacri di cui alcuni veramente pregevoli. Notevole il baldacchino in velluto cremisi e raso bianco con ricami in oro che nelle solennità è posto sull’altare maggiore, opera delle suore e realizzato nei primi dell’ottocento. Pregevole il leggio dell’altare maggiore e l’altare in legno bianco e rifiniture in oro.
Sembra, infine, che con il terremoto del 1693 sia andato distrutto un San Giuseppe del Paladini di cui ci riferisce un antico cronista. La ricchezza della chiesa era data dai notevoli benefici e proprietà tra cui il feudo Badia-Carnesale conosciuto anche come San Giuseppe. Con l’avvento del Regno e la demanializzazione dei beni appartenenti agli ordini monastici parte del convento fu venduta, parte fu ceduta al Comune di Ibla che in seguito vi realizzerà i propri uffici.