La chiesa di Santa Maria di Valverde, conosciuta anche come Madonna del Carmine perchè sede dell’ex monastero carmelitano femminile, è oggi sede della parrocchia di San Tommaso Apostolo; il convento scomparve nel 1928 quando fu abbattuto per far posto all’Asilo Giambattista Marini.

La presenza del convento in questo luogo sin da prima del XIIl secolo, è asserita da una tradizione orale tramandata dalle stesse suore un tempo presenti nel convento. La leggenda, giunta in varie versioni, narra come questa fondazione sia stata voluta da una regina che lì si era rifugiata con le sue dame perchè ripudiata dal marito (nella narrazione si accenna al re di Cipro che avrebbe sposato una delle figlie dello stesso Gran Conte Ruggero, fatto mai avvenuto; altri parlano della stessa moglie del re Ruggero, ma anche questo non può esser vero). Probabilmente la storia fu ingigantita in buona fede dal passaparola popolare durato quasi mille anni e l’ipotesi più veritiera vede la fondatrice come una nobildonna sposata e ripudiata, o vedova, a qualche signorotto di un’altra zona della Sicilia qui inviata quale vicaria della badessa provinciale di Messina (dove aveva sede centrale l’ordine e da cui dipendevano questi conventi) perchè imparentata ai Conti modicani. In Sicilia l’ordine fu detto delle “nuove penitenti chiuse” o anche delle “canonichesse regolari di Sant’Agostino” perchè seguiva la regola agostiniana.

Sviluppatosi nelle Fiandre, in Sicilia ebbe la sede principale a Messina dove risiedeva la Priora principale la quale controllava buona parte del meridione d’Italia. Nel 1538, forse per opera di una batessa ragusana (suor Sigismonda Iurato dei baroni di San Filippo, 1523-1553), il convento passò alle Carmelitane. In origine la chiesa, sorta quindi prima del trecento, era molto più piccola dell’attuale; molto grande e prestigioso il convento che era ricco di fondi e lasciti visto che molte delle suore erano di nobili natali (prima del 1590, quando sorse quello di San Benedetto, era l’unico convento femminile cittadino). Sorgeva inoltre probabilmente di fronte alla chiesa del convento domenicano , al limitare di una piazza di dimensioni maggiori dell’attuale piazza G.B.Odierna.

Nella chiesetta, visitata sin dal 1542 da Monsignor Platamone, era oggetto di particolare devozione anche a San Filippo d’Agira di cui si veneravano un’immagine sacra e alcune reliquie e per il quale ogni anno si effettuavano solenni festeggiamenti.

Il terremoto distrusse quasi totalmente la chiesetta che doveva sorgere pressappoco dov’è l’attuale altare maggiore e danneggiò fortemente il convento che però fu prontamente riparato con la creazione di controbastioni. La chiesa nonostante i forti richiami dell’abadessa che a cinque anni dal sisma non aveva visto sovvenzioni, invece, fu ricostruita a partire dal 1716 leggermente spostata rispetto a quella originaria ed il convento così riprese la sua vita quotidiana.

La chiesa, prima del terremoto rettangolare, fu ricostruita a pianta ottagonale come altre chiese dello stesso periodo; i lavori continuarono per tutto il settecento e furono completati nel 1828, anno in cui sembra che siano state realizzate le decorazioni che ancora oggi vediamo.

Con l’avvento del regno chiesa e convento venivano incamerati al demanio (la chiesa in particolare lasciata in uso al Comune) e le monache ricevevano l’ordine di allontanamento ad altro sito. Non si faceva sfuggire l’occasione di una definitiva sede parrocchiale il parroco di San Tommaso (infatti dopo il terremoto la parrocchia di San Tommaso aveva peregrinato dapprima a San Giuseppulo e poi alla chiesa della Maddalena presso cui oramai da quasi centocinquanta anni stava). La richiesta veniva evasa dal Comune di Ibla solo nel 1893 e dopo lavori di adeguamento nel 1898 la chiesa poteva riaprire con la denominazione di parrocchia di San Tommaso. Il convento acquistato da un privato, Gianbattista Marini, era stato destinato ad asilo d’infanzia; il fabbricato durante il fascismo verrà abbattuto integralmente e rifatto con criteri moderni così come si vede oggi accanto alla chiesa e lungo la via XXV Maggio).

Dal 1953 la parrocchia è stata assegnata ai frati Minori Conventuali che avendo richiesto di ritornare a Ragusa dopo l’allontanamento del 1866 e non potendo alloggiare nell’ex convento di San Francesco all’Immacolata ridotto a ospizio di mendicità ) tutt’ora la conducono.

La chiesa che oggi vediamo è quindi di recente sistemazione; presenta una facciata neoclassica semplice ed incompleta limitata da grandi paraste che salgono sino al cornicione terminale. Il portone è affiancato da paraste d’ordine tuscanico che terminano in un modesto cornicione; a lato due oculi, in alto un antico gocciolatoio. Sopra il portone si apre una finestra con architrave arcuato a doppia ghiera che dà luce all’interno. Conclude il prospetto laterale il bello, ma anch’esso incompleto, campanile a vela in stile rococò con tre archi delimitati da lesene, la chiave di volta dell’arco centrale è ornata da una testina d’angelo.

Il complesso si presenta riccamente decorato nello stile tardo barocco (per la pianta ottagonale si pensa che ci sia la stessa mano compositrice di San Giuseppe , un allievo del Gagliardi, che recenti studi hanno individuato in frate Alberto Maria di San Giovanni Battista).

L’interno è tripartito da coppie di lesene con capitello corinzio che proseguono sino alla volta dove dentro una cornice troneggia l’affresco dedicato alla Madonna del Carmelo attorniata dai Santi carmelitani.

Entrando in chiesa sulla parete sinistra si osserva il rapimento al cielo del profeta Elia di ignota mano settecentesca; il quadro di ottima fattura mostra il profeta Eliseo inginocchiato sulle sponde del Giordano, in vista del Monte Carmelo e della Palestina, che tende le mani per raccogliere il mantello che il profeta Elia, di cui era discepolo, lascia cadere da una carrozza con cavalli rampanti sulle nuvole); oltre, una Natività realizzata da Pietro Quintavalle nel 1856. Sulla parete destra, invece, un quadro con Santa Maria Maddalena (detta dei Pazzi) ed una Pietà anonimi; nel primo la Santa è inginocchiata, coronata da spine e mostra il cuore ad un Cristo con la croce in mano. Il secondo quadro è ricco di personaggi: in prima fila la Vergine sostiene il figlio morto, attorno la Maddalena e i Santi Giovanni e Giuseppe d’Arimatea sovrastati dalla Colomba e da angeli che guardano impietositi la scena.

Il presbiterio si conclude con l’ abside ; l’altare maggiore è di fattura recente (del 1965 epoca degli ultimi lavori) e rivolto verso i fedeli, mentre quello vecchio addossato alla parete è stato rivestito da marmi policromi.

Sul vecchio altare maggiore una pala attribuita a Vito d’Anna che raffigura la Madonna del Carmelo la quale seduta su un trono di nuvole consegna il saio carmelitano tenuto nella mano sinistra a San Simone Stock e con il braccio destro sostiene il Bambin Gesù. La scena è riempita da Angeli che giocano a nascondersi e solo uno con un libro è seduto ai piedi della Madonna. Sempre nei pressi del presbiterio un altro affresco con lo Spirito Santo che illumina i fedeli.

Tra le altre opere d’arte una parte di un quadro certamente più grande raffigurante l’Immacolata con ai piedi due Santi (opera attribuita a Francesco Manno) e un gruppo statuario ligneo del Santo titolare nell’atto di toccare il costato a Gesù risorto, anch’esso di ignoto.

Altre opere provengono da chiese dismesse: dalla chiesa di San Giuseppulo uno Sposalizio della Vergine (opera anonima, ma di ottima fattura, che rappresenta un ambiente rischiarato da una luce soffusa emanata da due candele e dallo Spirito santo; il sacerdote unisce i coniugi che si tengono per mano destra, mentre alla loro destra un altro personaggio sorregge la Bibbia aperta); dalla chiesa extraurbana di Santa Rosalia una incoronazione con corona di rose della Santa da parte di Gesù bambino tenuto in braccio dalla Madonna; c’è infine una Presentazione al Tempio di cui si conosce la data del primo restauro, 1752, o meglio del rifacimento di alcuni personaggi; la scena mostra Gesù nelle braccia del Sommo sacerdote e la madre che glielo offre, mentre stranamente San Giuseppe guarda al di fuori del perimetro sinistro del quadro. Nel 1977 è stato ulteriormente restaurata dal pittore napoletano Stefano Macario.

La chiesa possiede, inoltre, altre quattro piccole cappelle realizzate sulle diagonali del perimetro ottagonale. Sei i finestroni, dai quali entra una luce soffusa, che illuminano l’interno. Il pavimento in origine doveva essere di calcare e pietra pece, oggi lo si osserva sostituito da marmi bianchi e neri. Sulle pareti laterali, a mezza quota, due balconcini e due finestrelle nascondevano alla vista le carmelitane intente alla preghiera e ad ascoltare messa. A sinistra entrando è degno di nota un antico fonte battesimale di forma circolare in pietra asfaltica del 1545, realizzata da Vincenzo Blundo, sicuramente una delle più antiche testimonianze di lavoro in pietra pece di Ragusa

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