Nel Giardino ibleo, sul ciglio del versante e nella posizione più orientale dell’abitato, la chiesa con convento dei Padri Cappuccini.

Il convento, in avanzato stato di restauro, è destinato sin dal 1979 quale sede del Museo Diocesano di arte sacra ed ospita frequentemente interessanti mostre; per la bellezza degli interni, invece, la chiesa è fortemente richiesta per la celebrazione dei matrimoni. Nell’ala destra del convento ha sede una biblioteca civica fondata nel seicento dall’abate De Gaspano in cui si conservano rari testi e manoscritti di epoca precedente, ancora non definitivamente catalogati (si parla di circa quattromila volumi oltre gli annali).

Anche in questo caso gli insediamenti nel sito sono di antichissima origine. All’attuale complesso preesisteva la chiesa di Sant’Agata che era stata eretta nel 1519. I Padri Cappuccini (giunti a Ragusa nel 1537 subito dopo la formazione dell’ordine dei riformati, avvenuta nel 1525) si erano stabiliti in un convento sito in un’area lungo il Torrente San Leonardo e non lontana dalla sorgente del Propenso e si dedicavano alla cura degli orti grazie alla concessione delle acque di quella sorgente; ma per l’insalubrità dei luoghi e l’imperversare della malaria chiesero una nuova sede. Vista la richiesta, dal 1603 il parroco di San Tommaso offrì i luoghi per costruire la nuova sede, ma solo in seguito alla decisione del Capitolo ordinario dell’Ordine tenutosi a Piazza Armerina nel 1607, si potè fare il trasferimento.

Notevoli dovettero essere i danni alle strutture a seguito del terremoto del 1693 se nonostante le nuove murature nell’evento perivano almeno tre frati. Il convento e la chiesa furono ricostituiti. Alcune date sono testimoniate sull’edificio: 1714 è scolpito su un trave del soffitto, 1715 è sulla porta del coro, 1742 sul pavimento del corridoio di entrata al convento. Il convento, come si può vedere ancor oggi, era abbastanza grande essendo stato costruito per ospitare quaranta frati; per le sue caratteristiche si prestò allo svolgimento di vari Capitoli ordinari dal XVI al secolo scorso (l’ultimo fu del 1858). Con l’avvento del regno, nel 1866, chiesa e convento furono incamerati al demanio e il fisco li rivendette al Padre Provinciale del tempo che per riacquistarli aveva organizzato una colletta; le opere d’arte, anch’esse incamerate, rischiavano di essere disperse se non fosse intervenuto l’allora sindaco barone La Rocca Impellizzeri che istituiva una Pinacoteca comunale con sede presso il nuovo Municipio.

Chiesa e convento sono semplici ma spaziosi; quest’ultimo presenta ben tre livelli. La chiesa al semplice portone somma un finestrone e un piccolo frontone triangolare in cui è allocato anche lo stemma dell’ordine sormontato da una croce e da un piccolo campanile a destra con unica campana.

L’interno è ad una sola navata e con cinque altari in legno. Il visitatore all’ingresso è colpito subito dall’altare maggiore dove spicca il famoso trittico – di Pietro Novelli, detto il monrealese, della metà del XVII secolo. Si narra che l’autore, definito il Caravaggio siciliano, qui si trovava ospite e rifugiato perchè scappato da Palermo in seguito ad una furiosa lite con un amico del re; trovato asilo presso i frati per sottrarsi alle ritorsioni, si disobbligava dell’ospitalità, dipingendo per essi la bella pala. Secondo altre fonti l’opera, forse, era stata già commissionata prima, quando l’Autore era venuto al seguito di Don Giovanni Alfonso Enriquez conte di Modica e in quegli anni vicerè, nella qualità di Architetto militare del regno. Queste magnifiche tele, incorniciate da una lavoratissima cornice in legno intarsiato e scolpito, rappresenta nella parte centrale l’Assunta che circondata da Angeli e Santi sale al cielo su una nuvola bianca mente a terra i discepoli guardano estasiati la scena (la tradizione dice che a sinistra fra i discepoli con barba e baffi ci sia lo stesso Novelli). La tela alla sua sinistra raffigura San Pietro che riattacca il seno tagliato da un soldato romano a Sant’Agata, mentre a destra c’è il martirio di Santa Barbara.

Ma procedendo dall’ingresso al primo altare a sinistra vi è un Crocifisso ed un quadretto all’Addolorata, mentre sul secondo altare si apprezza una statua della Madonna delle Grazie; fra questi una teca contiene la statuetta con Gesù bambino benedicente.

Sulla parete dell’altare maggiore, dove è ubicato il famoso trittico, si osserva più in basso un Sant’Antonio da Padova da un lato e un San Francesco dall’altro, Sempre a sinistra del trittico, inoltre, una tempera antica, attribuita da alcuni a Deodato Giuinaccia, ma sicuramente opera di qualche frate riformato, datata al 1520 che rappresenta un presepe collocato in un paesaggio che arieggia la collina di Ibla e chiamata da tutti “la Natività”, salvata dal terremoto e qui trasportata dalla prima sede conventuale che sorgeva vicina al torrente. Semplici, ma di bell’effetto il pulpito e una cattedra in legno per il coro presenti nei pressi dell’altare maggiore.

Ritornando ora verso l’uscita, a destra, un altare con quadro a San Francesco pregante alla Porziuncola, opera di G. Calabrò del 1904, mentre l’altro altare presenta una statua di Sant’Antonio da Padova; fra di essi il confessionale.

Nei pressi dell’uscita altri tre quadri, il primo a sinistra dedicato a Santa Lucia di Antonio Manoli del 1725 ed il secondo ad una Sacra Famiglia di epoca recente (1904), opera del Calabrò, mentre sul lato opposto, quello destro, una Madonna degli infermi. Sui due lati dell’altare maggiore da due porticine l’accesso alla sagrestia dov’è conservata una pregevole cassettiera; sembra sia questa la sede dell’ex chiesa di Sant’Agata ; in ricordo di ciò la Santa è ancora oggi oggetto di particolare devozione

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