Colpisce l’occhio del visitatore che percorre il perimetro meridionale di Ibla un gigantesco edificio per metà diruto che dalla moderna strada Panoramica riesce a raggiungere con la sua mole la soprastante Via Torrenuova. Sono il convento e la chiesa di Santa Maria del Gesù retti un tempo dai frati minori osservanti riformati che ebbero a diffondersi a Ragusa ancor prima del 1600.

I frati giunti a Ragusa e non avendo una dimora stabilita si erano insediati nel quartiere Pirrera, in una serie di case basse utilizzate a mo’ di ospizio temporaneo, dicendo messa presso la vicina chiesa di San Rocco . Nel contempo parte dell’antica cinta muraria esterna, con il terremoto del 1542, era crollata definitivamente e nella zona dove sorgeva un’antica torre ed una delle vecchie porte cittadine (la Porta dei Saccari , oggi Walter) si rendeva disponibile un pezzo di versante impervio. Era questo un luogo abitato, dove esisteva già da prima del periodo normanno un luogo di culto ancor oggi testimoniato dalla grotta con Santi attigua al lato orientale del complesso e dedicato al Santa Domenica che da il nome alla cava.

Del luogo presero possesso i frati i quali lo videro come la sede ideale per il loro convento, dato che si potevano integrare le murature rimaste in piedi, e costruire così un poderoso stabile. Un altro punto a favore era la presenza di un’antica sorgente che seppur di modesta portata aveva un apporto costante durante tutto l’anno; la grotta dov’è la sorgente fu man mano ingrandita sino alla capienza dell’attuale cisterna, approfondendola, limitandola con muri e intonacandola tanto da divenire il perno centrale del convento (non esistono paragoni a questa opera in buona parte degli iblei, si tratta infatti di una cisterna campaniforme dalla capienza di ben 750 metri cubi). Resti della cinta, della torre e della vecchia porta della città furono inglobate, smontate, rimontate e riutilizzate nelle nuove fabbriche.

Si iniziò così ad erigere dapprima il corpo a ridosso del versante, poi le due ali in modo tale che il chiostro si apriva verso Sud, sulla vallata sottostante. Nel 1609 le fabbriche erano giunte all’altezza del chiostro e i frati vi si trasferirono definitivamente abitando la parte già costruita. La loro chiesa era l’attuale cripta a cui in seguito crollò una parte della volta. Iniziava, infine, la costruzione della chiesa vera e propria e del piano superiore dove si sarebbero dovute allocare le cellette del dormitorio.

Per la costruzione furono usati le pietre del poderoso castello bizantino ivi rovinato e quelle di una piccola cava attigua aperta per l’occasione. I lavori procedevano a rilento per le difficoltà economiche, ma un mecenate d’origine veneta, il nobil uomo Vincenzo Campulo Barone di

San Biagio e del Mastro devoto a Santa Maria del Gesù, sostenne con grande impegno di danaro la conclusione dell’opera (per la fedeltà all’ordine un passaggio sotterraneo che si imboccava da dietro un confessionale univa la chiesa, completata nel 1652, con la casa del barone che sorgeva nei pressi dell’attuale piazza Duomo). Allo stesso ed al fratello Girolamo per riconoscenza venivano riservati dai frati i ricchi mausolei vicini all’altare centrale.

Nel frattempo anche la topografia dei luoghi era cambiata; la Porta Walter veniva spostata e ricostruita addossata alla chiesa proprio in quegli anni nell’occasione dell’arrivo in città del Conte Giovanni Alfonso Enriquez Cabrera nominato viceré e in visita nella Contea nell’anno 1643.

Gravi dovettero essere i danni del terremoto tant’è che la chiesa risultava demolita, ma essendo il maestoso complesso abbastanza nuovo si preferì restaurarlo continuando a dimorarvi. Così fu rinforzato il piede Est rendendolo pieno per un livello mentre la muratura fu contenuta da un paramento esterno con scarpa. Forse nella stessa occasione si chiudeva il chiostro creando un ulteriore passaggio. Questi lavori si protrassero per tutto il XVIII secolo, anni in cui fu anche addossato al lato occidentale un ulteriore corpo di quattro livelli tale da far sembrare un tutt’uno la struttura esterna; questa innovazione, però si dimostrerà nel tempo una delle cause che avrebbero inevitabilmente portato alla rovina l’edificio. Il secolo scorso fu tra i periodi d’oro del complesso che vide durante la rettoria di padre Giovanni Campo i restauri e gli abbellimenti interni alla chiesa.

Nel frattempo all’esterno, dal lato orientale, era nata una piazza e per accedere a questa, ma anche a chiesa e convento, nel 1823 veniva realizzata l’ampia scalinata. Con l’avvento del Regno e la requisizione dei beni ecclesiastici il complesso fu dato in concessione al Comune; vi si trasferirono uffici, il telegrafo e le scuole elementari, mentre nella parte inferiore c’era un dormitorio per indigenti.

Il convento appesantito in particolare sul lato Ovest manifestava continuamente cedimenti e così dopo le prime minacce di crollo degli anni venti, si passò negli anni trenta alla creazione di contrafforti interni che a nulla valsero tant’è che negli anni cinquanta la metà occidentale del convento crollò definitivamente.

La sede della chiesa, come già detto, risulta sottomessa al piano stradale della via Torrenuova da cui vi si accede per mezzo della lunga scalinata realizzata nel 1823 quando era fruibile anche l’adiacente piazzetta andata oggi irrimediabilmente distrutta.

La semplice facciata settecentesca compresa fra paraste bugnate lisce si arricchisce di un portale delimitato da colonne tortili con capitelli corinzi compositi, su cui sovrasta con la sua presenza nel mezzo del timpano triangolare spezzato lo stemma dell’ordine conventuale; al livello superiore un finestrone, corrispondente al matroneo, illumina gli interni da Est. Il tetto è sorretto da un cornicione dentellato. A sinistra della facciata la cella campanaria di stile manieristico con due campane, la grande del 1827 e la piccola del 1804.

All’interno nell’unica navata sette altari di vecchia fattura fra semicolonne binate in stile corinzio e volte con copertura a stucchi recanti per lo più motivi floreali e puttini alati più volte restaurati e rifatti (il più importante intervento, oltre quello recente, fù del padre rettore Giovanni Campo nel 1889), così pure le decorazioni pittoriche ritoccate dal pittore Paolo Flaccavento. Al primo altare della parete destra v’era un quadro raffigurante Sant’Antonio da Padova mentre al secondo una Sacra Famiglia con San Giacomo e Sant’Anna. Sulla parete sinistra un primo altare con quadro a San Francesco, segue un confessionale con sopra il quadro di San Sebastiano di Giovanni del Prado; ed ancora un secondo altare in cui c’era la statua al Cuore di Gesù.

Interessante l’area dell’altare maggiore, oggi scostato dal muro; sul catino dell’abside c’è un grande affresco (datato 1750) attribuito a Matteo Battaglia perché analogo agli affreschi dello stesso autore che si possono osservare nella chiesa di San Giacomo (del 1755) ed in quella di Santa Lucia (del 1773). La decorazione raffigura un tempio maestoso a tre livelli di colonne. In occasione dei recenti lavori di restauro si è scoperto all’interno del vecchio altare maggiore dismesso un interessante affresco di sconosciuta mano che raffigura una scena della tradizione dell’ordine. In questo secolo si aggiunse la devozione alla Madonna di Lourdes rappresentata da una statua che domina la scena.

Oltre alle tombe presenti ai piedi di un confessionale e di un altare minore si apprezzano ai fianchi del presbiteri i due mausolei con i mezzi busti dei fratelli Campolo. La tomba del benefattore Vincenzo (morto nel 1682), posto a sinistra e ricordato anche sulla porta d’accesso al convento, è riccamente decorata e con una vasta epigrafe che ne descrive la vita, mentre quella del fratello Girolamo (morto nel 1678) risulta abbastanza spoglia e muta.

Al di sotto della chiesa, oggi accessibile solo dal piano chiostro (mentre un tempo lo era anche da una scaletta posta proprio accanto al portone di ingresso) la cripta-oratorio con pianta a croce greca che racchiude le tombe dei frati.

Dal retro del primo confessionale destro l’accesso allo scannafosso che nascondeva un passaggio segreto oggi murato il quale collegava la chiesa ed il convento con la casa Campulo.

Tutti gli arredi superstiti sono stati spostati a cura della chiesa di San Giorgio ; tra di essi un Cristo nell’urna, scultura in legno di Corrado Leone padre del 1880-1889 aiutato da Nunzio Lissandrello intagliatore dell’urna e Michele Leone di Corrado, indoratore.

Il convento è un edificio possente, a quattro livelli, di cui manca un’ala perché crollata in due fasi; il crollo più grave avvenne negli anni cinquanta (la disimmetria osservabile dimostrerebbe la realizzazione in più fasi, con tecniche murarie diverse e invadendo una zona in cui le fondazioni poggiavano su roccia fratturata e detriti incoerenti tali da essere la causa della sua rovina). Vi si accede da una porticina laterale alla chiesa sulla cui architrave campeggia una scritta a ricordo del benefattore che contribuì al suo completamento ( Q. PEZZO FU DATO DAL SIGNOR VINCENZO CAMPULO ANNO DOMINI 1652 ), fatto che per molto tempo ha tratto in inganno gli studiosi sull’effettiva mole dei lavori di completamento dell’opera finanziati.

Al livello superiore del Convento erano le celle dei frati oltre ad un accesso al coro e alla cella campanaria; vi si giungeva per mezzo di una larga scala che, invece, percorsa verso il basso portava al chiostro al cui centro si erge un pozzo a base ottagonale e collo alto. Il pozzo, che si sviluppa in profondità con due livelli accessibili da finestre, è posto al centro di disegni geometrici di croci ottagonali realizzate in pietra asfaltica con pavimentazione di ciotolame di fiume misto sia calcareo che vulcanico, esempio unico in questa parte della Sicilia. Attorno al chiostro l’oratorio e le sale dei lavori quotidiani, quali la biblioteca e gli altri servizi. Il primo piano inferiore aveva le cucine, i magazzini e la mensa sia per i frati che per i poveri; il secondo piano sottoterra era destinato ai magazzini e solo in un secondo tempo fu aperta una porta centrale con accesso alla “silva” e agli orti. Sul finire del XVIII secolo fu affiancato l’altro edificio munito di propria scaletta interna sempre con funzione di magazzino, edificio che malcostruito porterà alla rovina della porzione occidentale del convento. Per tradizione una Via Crucis si snodava tutti i venerdì con stazioni a Porta Walter , alla chiesetta di Santa Maria dei Miracoli e al Pozzo e di lì risaliva il versante sino al Romitorio del Bollarito , sulla collina di fronte, dove si celebrava la messa.

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