Lungo la via XXV Aprile, a sinistra scendendo fra le piazze Duomo e Pola, colpisce per maestosità e grande estensione il palazzo Donnafugata una massiccia costruzione scandita in basso da umili portoni.

Il palazzo, semplice ma al contempo magnifico, non poteva altro che essere di proprietà di una delle più prestigiose famiglie di Ibla, una famiglia dalle antiche tradizioni e dalle nobili origini, gli Arezzo De Spuches baroni di Donnafugata, località dove sorge il castello di loro proprietà.

L’immenso complesso, che si estende compreso fra la via XX Aprile e le vie Pietro Novelli ed Orfanotrofio, e racchiude un’ampio giardino all’italiana nasce sul finire del settecento da preesistenze rase al suolo dal terremoto del 1693, ma l’assetto definitivo è della prima metà dello scorso secolo ad opera del barone Francesco, padre di Corrado.

L’edificio rientra in quella “semplicità ricca” del neoclassico siciliano. Alla semplicità del pianterreno si contrappone la ricchezza del piano nobile che fa immaginare i ricchi interni. Sulla facciata che culmina con un bel cornicione nove balconi con timpano triangolare. Interessante è l’ultimo balcone a sinistra sul quale è stata realizzata una loggetta in legno ben modellata, una ” gelosia ” da dove si poteva guardare senza essere visti.

Al palazzo si accede da un portone centrale ad arco. Subito una lapide ci ricorda la figlia del senatore, Maria, a cui si deve il primo ospedale di Ragusa. Altri cinque ingressi sono disposti sui vari lati dell’isolato: un ultimo maestoso ingresso dà accesso agli appartamenti di proprietà di un altro ramo della famiglia Arezzo.

Oltre il portone, un magnifico androne con doppio colonnato (e soffitto a cassettoni con stucchi colorati d’azzurro) precede un cortile da cui attingono luce alcuni saloni del piano nobile; sull’arco d’ingresso è presente lo stemma di famiglia e, poco più in là l’ampio giardino all’italiana con tre vasche; da esse emerge un Mosè con le tavole. Anche qui, come nel Castello, vi è una grotta, dove è inserito un bel presepe intagliato nel calcare.

Dal cortile interno si ha accesso al piccolo e pregevole teatro, un tempo luogo di intrattenimento privato per il barone ed i suoi ospiti. Oggi è intitolato a Checco Durante ed è sede della Piccola Accademia di Ragusa, un gruppo teatrale composto da attori dilettanti; l’ingresso attuale è dall’esterno.

Sempre dal cortile vi è l’accesso ai magazzini, alla legnaia, alle scuderie, agli alloggi del personale contadino, e agli importanti depositi dei ” carnaggi “, olio, vino, formaggi e frutta che, dalle varie contrade, arrivavano in omaggio rispettoso al Barone.

L’ imponente scalinata marmorea, a tre rampe conduce al piano nobile; la luce è garantita, di giorno da cinque finestroni a vetri colorati, di notte da un grande lampadario bronzeo che pende dal soffitto arricchito di stucchi.

Giunti in cima alla scala, varcato un portone in legno si accede ad una saletta d’ ingresso con pavimenti in marmo bianco e rosso arredato con mobili in noce. Dopo, un’altra saletta, poi un biliardo e un salottino con pavimenti in pece.

Seguono altri saloni con il pavimento di calcare e pece consunto coperto da tappeti a disegni floreali. Le pareti sono rivestite da carta in seta damascata. Ad una grande sala da pranzo, con la limitrofa terrazza abbellita da una voliera con base in pietra pece, seguono gli ambienti di lavoro, la cucina, ecc..

L’altra ala dell’edificio è destinato alla zona notte con ampie stanze anche per gli ospiti che un tempo erano sempre numerosi. Più distaccata, la zona riservata alla servitù e l’appartamento del custode.

Rinomata è la pinacoteca creata circa alla metà dell’ottocento da Corrado Arezzo Spuches, deputato al parlamento siciliano nel 1848 e poi senatore del Regno.

La maggior parte dei quadri della collezione ha soggetto sacro, tra essi: la famosa “Madonna con Bambino” attribuita da alcuni ad Antonello da Messina o ad un elemento della sua scuola; un “San Paolo eremita” di Josè de Ribera detto lo Spagnoletto; una “Madonna in trono” del fiammingo Hans Memling; un’ “Estasi di San Francesco” attribuita a Bartolomeo Esteban Murillo; un autoritratto di Salvator Rosa ed una tela del Guerci. Il vanto della raccolta è il “Prometeo incatenato” di scuola caravaggesca.

Vi sono, inoltre, porcellane di Sevres e maioliche giapponesi, una collezione di ceramiche di Caltagirone realizzate da Bongiovanni Vaccaro ed numerosi oggetti di notevole valore artistico

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