La chiesa di Santa Maria dell’Idria (o più correttamente Itria) oggi accoglie anche il culto di San Giuliano che gli deriva dalla presenza, in tempi lontani, in un unico isolato di due chiese e dell’antico ospedale dedicato proprio a quest’ultimo Santo.

L’area dove sorge l’attuale chiesa è da sempre stata abitata come quella dove sorge la vicina Santa Maria delle Scale , ma bisogna ripercorrere la storia del sito per avere un’idea della sua importanza.

Anche se resti di tombe , ancora visibili nelle parti non edificate del versante, testimoniano la presenza umana nel sito in periodo protostorico, sembra che più stabili insediamenti risalgano ai primi secoli dell’era cristiana.

Forse i primi ad occupare i luoghi furono degli anacoreti che adattarono qualche tomba a loro rifugio. In seguito, quasi sicuramente, fu edificata una chiesetta paleocristiano-bizantina, con annesso un convento di basiliani ; dell’esistenza del complesso alcuni ricercatori considerano testimonianza una colonna ottagonale con capitello posta, oggi, all’interno della sagrestia, ma che, secondo altri, potrebbe essere più recente, trecentesca.

Anche sulla denominazione della chiesa i cultori di storia locale non sono concordi. Alcuni fanno derivare il termine Idria da una corruzione di “hydor – hidria = acqua” e quindi Santa Maria dell’Idria significherebbe Santa Maria delle acque (forse per una sorgente che c’era nelle vicinanze). Secondo altri deriva dall’appellativo che nell’impero bizantino si dava alla Madonna raffigurata in piedi con il Bambino sul braccio sinistro: hodigitria “patrona dei viandanti” o “patrona del cammino”. Se si segue quest’ultima tesi la denominazione corretta dovrebbe essere Santa Maria dell’Itria.

Durante la dominazione araba la chiesa, molto probabilmente, continuò ad essere aperta al culto cristiano di rito greco-bizantino.

Con la conquista normanna nulla dovette cambiare, almeno in un primo momento. Sappiamo, infatti, che Ruggero I, il Gran Conte, anche se fece aderire le nuove diocesi a Roma, poichè i cristiani dell’isola erano greco-ortodossi, non impose subito e in modo drastico un ritorno alla cristianità latina. Si comportò così forse anche per esercitare un’efficace pressione sul papato e mantenere le prerogative regie sulla Chiesa, prerogative che riuscì a farsi riconoscere nel 1098, quando Urbano II concesse a lui e ai suoi successori i poteri di Legato Apostolico in Sicilia e Calabria.

Ma ritorniamo al nostro territorio. Si apprende da un anonimo cronista del seicento che, oltre le altre, esistevano a Ragusa una chiesa di San Basilio vicina al castello , la chiesa dell’Itria e, accanto ad essa, una chiesa di San Giuliano o, cosa più probabile, un ospedale con annessa chiesetta o cappella.

Il persistere di culti per Santi orientali, quali San Basilio e San Gregorio Nazianzeno, e del culto a Santa Maria dell’Itria suggeriscono che la memoria della dominazione bizantina, almeno nel campo della religiosità, non era del tutto scomparsa.

Accertata la presenza delle due chiese, sorge un altro dilemma: quale delle due, e a quale data, è legata all’ ordine Gerosolimitano ?

Alcuni studiosi di storia locale sostengono che furono i Chiaramonte , nel XIV secolo a donare all’ordine cavalleresco la chiesa (o ospedale) di San Giuliano fornendola di benefici.

La donazione fu confermata dallo stesso Re Martino nel 1391. Secondo altri la presenza dell’Ordine a Ragusa è da riportare al 1626, quando ad opera del cavaliere Blandano Arezzo La Rocca barone di Serri, e con una dote annua

di trecento scudi, al posto dell’antica chiesa bizantina sorse la nuova chiesa dei cavalieri di Malta (sempre dedicata a Santa Maria dell’Itria) e dipendente dalla Commenda di Modica e Randazzo.

Dopo il terremoto venne ricostruita, nelle forme attuali, soltanto la chiesa dell’Itria (da alcuni chiamata dell’Itria e di San Giuliano) che da allora sarà considerata l’unica chiesa dell’Ordine Gerosolimitano a Ragusa.

Oggi la possiamo ammirare lungo la Salita Commendatore, fra la Cancelleria e il palazzo Cosentini, ma non agevolmente per la strada angusta.

La facciata, rivolta a mezzodì, presenta un portale sormontato da un cornicione con festoni scolpiti e due porte laterali. Semipilastri con capitelli ionici delimitano il portone principale e paraste su alti basamenti dividono la facciata in tre porzioni; le porte laterali inserite in cornici rette e lisce presentano timpani leggermente tondi su cui ci sono finestre rotonde, diverse da quella quadrata sopra al portone principale. Un cornicione ben evidente separa i due ordini; in quello superiore, con un finestrone centrale e due balaustre, si notano le due grandi volute di raccordo fra i due ordini e il frontone triangolare superiore. Interessante, infine, sulla facciata alcuni mascheroni che sembrano ammiccare beffardi fra le volute dei capitelli alla sommità delle paraste. Si pensa che la costruzione della chiesa sia iniziata nella prima metà del settecento, ma mai realmente completata visto che al secondo ordine i piedistalli non hanno le statue.

Fastoso l’interno a tre navate separate da due file di cinque colonne corinzie. Contiene cinque altari con decorazioni dal tardo barocco al rococò realizzati in pietra calcarea ed un’elegante cappella sulla destra. Sulla porta centrale, all’interno, la data 1739 ricorda il completamento del prospetto (il portone è invece del 1933 realizzato da Salvatore Imperiale).

Entrando si percorra la navata destra dove si incontra una prima cappella dall’impianto seicentesco, con pianta quadrangolare, decorata e dedicata all’Addolorata; ai piedi di un bell’altare marmoreo un’urna con Cristo morto, sulla volta a vela le decorazioni di Giuseppe Maggiore del 1846. Segue poi un altare con quadro dedicato a San Giuseppe e quindi si giunge all’abside della navata destra con un Santissimo Crocifisso, situato fra colonne tortili arricchite da motivi floreali e da angioletti, alla croce sono affiancate due statue, l’Addolorata (realizzata a Napoli nella meta del secolo scorso per conto della stessa famiglia) e un San Giovanni Evangelista dai tratti delicati. La cappella, eretta nel 1741, apparteneva alla famiglia dei Cosentini con il cui palazzo era collegata per vie interne.

L’altare maggiore è caratterizzato da un baldacchino in legno scolpito sorretto da quattro colonne scanalate, due per lato. La Madonna dell’Itria è posta all’interno della nicchia centrale (un tempo questa statua era portata in processione). Ai lati erano San Corrado da Piacenza e San Guglielmo da Scicli. Sulla volta un affresco raffigura l’Assunzione e l’Incoronazione di Maria (1744).

Ritornando verso l’uscita, lungo la navata sinistra, si incontra un altare barocco con colonnine tortili ai lati di un quadro che rappresenta San Giuliano e San Giovanni Battista; quest’opera da molti è attribuita a Mattia Preti, detto il calabrese, da qui transitato nella sua fuga verso Malta; nel quadro, a destra in basso, vi è uno stemma con chiaro riferimento alla Croce di Malta e una sigla (A.C.D.).

Chiude la navata un ultimo altare con pala in calcare tenero della fine del settecento che contiene un quadro di San Biagio e accanto un quadro con San Gregorio Nazianzeno di Ignazio Scacco.

La chiesa possiede, infine, opere provenienti dalla dismissione di altre chiese quali le due pale con Sacra Famiglia e Presentazione al tempio, il quadro a San Basilio e quello dell’Immacolata proveniente dalla dismessa chiesa di San Paolo.

Sopra l’entrata principale c’è un organo in legno (vi si accede da una scala che porta anche al campanile), mentre sul pavimento sono presenti tre lastre tombali in pietra asfaltica di tipo seicentesco.

Completa questo angolo caratteristico soprattutto se visto dall’alto, cioè dai tornanti della via Mazzini, un bel campanile alla sinistra della chiesa; costruito su preesistenze, forse fu realizzato, secondo i più recenti studi nel 1701. Il campanile, a sezione quadra, è coronato da una balaustra (datata 1754) e sormontato da un cupolino che poggia su un’alto tamburo a sezione ottagonale, le cui facce sono decorate da maioliche colorate che rappresentano iris di vari colori in vasi. Nella cella campanaria vi erano quattro campane oggi c’è solo quella che era la maggiore che reca la data, 1700, il nome del fonditore Pietro Grimaldi di Catania, e la dedica a Santa Maria dell’Itria.

Oltre a San Giuliano la chiesa è legata all’Addolorata, di cui ospitava una Confraternita popolare, e per la devozione ne possedeva le statue; la più antica un tempo, era portata in processione ogni anno la Domenica delle Palme.

Nel periodo pasquale anche in questa chiesa, chiusa per la maggior parte dell’anno, viene allestito il “sepolcro”, adornato secondo una insolita usanza di antichissima tradizione con piatti con germogli di grano fatti crescere al buio (reminescenza dei giardini di Adone).

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Tra le testimonianze di quegli anni la Santa Visita del 1542 in cui Monsignor Platamone la annovera fra quelle vedute nel suo viaggio ricognitivo, ma solo per aver osservato in quella un altare dedicato a Santa Maria d’Itria essendo la chiesa di San Giuliano fuori dalla sua giurisdizione perchè asservita all’ospedale gestito dall’Ordine Gerosolimitano (in effetti come per altre chiese questa può essere la prima testimonianza scritta se si considera che l’archivio vescovile di Siracusa andava distrutto nell’incendio provocato da una sommossa popolare). Non si sa quando le due chiese si fondessero in una e di conseguenza l’Itria diventasse la sede definitiva della Commenda Gerosolimitana; sicuramente dopo il terremoto visto che sia nei documenti del 1719, che in una mappa del 1737, esiste ed è descritta ancora accanto a San Giuliano, ma gia nel 1746 (in una successiva visita del delegato del vicario) la chiesa dell’Itria ha una sua sede ben definita e possiede propri arredi, nulla più dicendo della prima, forse scomparsa. Da allora Santa Maria dell’Itria sarà considerata la chiesa dell’Ordine Gerosolimitano. Si riparla di lavori al suo interno nel 1840 quando sarà realizzata una scala nell’abside che serve a collegare la chiesa con palazzo Cosentini verso la piazza degli Archi. Gli ultimi lavori sono di quest’ultimo mezzo secolo, lavori che rovinando le vecchie volte le hanno viste sostituite con solai in calcestruzzo.

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